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    Il Rübezahl

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    Il Rübezahl è un personaggio che fa parte sia della cultura tedesca che di quella ceca e polacca, poiché la sua leggenda nasce nella zona dei Monti Sudeti, che si trova al confine fra i tre Stati. Per essere precisi, il Rübezahl sarebbe il leggendario abitante dei Monti dei Giganti (Riesengebirge), la principale catena montuosa dei Sudeti.

    Essendo un abitante di questi luoghi, viene rappresentato più spesso come un gigante, anche se non mancano leggende che lo descrivono come un corvo, un asino o un monaco incappucciato che suona l’arpa. Molte delle illustrazioni che lo riguardano lo rappresentano come un vecchio viandante che girovaga per i boschi con un bastone e un mantello. Tuttavia, ciò che rimane costante in tutte le versioni del mito è la sua indole maligna e ostile verso gli umani.


    Signore incontrastato dei Monti dei Giganti (e per questo chiamato in polacco anche Duch Gór, cioè “spirito della montagna”), il Rübezahl vive sottoterra ed esce di rado, sotto forma di animale o di vegetale, per tessere inganni a svantaggio degli umani (ad esempio, può trasformare i frutti in oro e farli tornare al loro stato naturale quando uno meno se lo aspetta, oppure può influenzare il clima scatenando un acquazzone o una tormenta di neve improvvisi).

    Secondo una versione della leggenda, sottoterra custodirebbe un tesoro favoloso al pari dei mitologici nani, tesoro che difenderebbe con tutte le sue forze dalle mani dei mortali.


    La sua storia ricorda moltissime leggende appartenenti alla cultura britannica, come ad esempio “Padre Tempo” (Father Time), lo sposo di Madre Natura rappresentato come un vecchio incappucciato intento a ruotare sempre una clessidra; oppure il Troll, gigantesco abitante e guardiano dei boschi che muore andando a mutare in una parete rocciosa

    E’ molto probabile che questa creatura leggendaria derivi dalla figura mitologica di Odino, il dio tedesco e scandinavo che andava in giro per il mondo travestito da vecchio mendicante, e che non di rado si divertiva a trarre in inganno gli esseri umani per testare la sua superiorità intellettuale o perché influenzato dal malvagio dio Loki con cui si accompagnava.

    Talora rappresentato come un demonio, il Rübezahl può essere altrimenti identificato in Loki stesso, del quale condivide sia l’indole maligna e ingannevole che un carattere altruista e generoso in alcune occasioni. Come Odino, ha una particolare predilezione per i puri di cuore o per coloro che gli si mostrano gentili, ai quali di buon grado indica il sentiero quando smarriscono la via. Viceversa, non sopporta i malvagi, ai quali indica vie insidiose o con cui si vendica senza pietà.

    Infine, potrebbe anche rappresentare il dio Ullr, figlio di Sif, ovvero la divinità della caccia e delle montagne: la cetra o arpa con cui viene talvolta rappresentato il gigante potrebbe essere nientemeno che l’arco da caccia di Ullr intagliato dal legno di tasso, col quale quest’ultimo veniva sempre raffigurato. Non mancano infatti diverse storie in cui il Rübezahl sarebbe il famigerato “cacciatore selvaggio” che va a caccia non di animali ma di uomini come le corti fatate che fanno parte della mitologia britannica e irlandese, le quali si divertono a rapire i viandanti di notte e a condurli nel proprio regno (Corte degli Scontenti). Nella mitologia scandinava – e meno in quella tedesca – a capo della “caccia selvaggia” sarebbe Odino in persona in sella al suo cavallo Sleipnir, altro particolare che lo accomuna al Rübezahl.

    Il Rübezahl non è però solo un cacciatore, ma anche un coltivatore della terra, e specialmente degli ortaggi che crescono sottoterra, dove lui vive. In particolare, coltiverebbe delle rape magiche con le quali terrebbe i mortali fuori dal suo territorio.

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    Le prime fonti scritte su di lui risalgono al XVI secolo, grazie ad Hans Schultz (latinizzato “Johannes Praetorius”), scrittore nato nel 1530 e oggi conosciuto per essere uno dei più grandi autori di racconti sul Rübezahl. “Rübezahl” fu anche il nome del giornale fondato da Johann Joseph von Görres (1776 – 1848) dopo la Rivoluzione Francese e inizialmente denominato “La foglia rossa” (Das rote Blatt). A questo personaggio leggendario è oggi dedicata una statua nella Fontana delle Fiabe (Märchenbrunnen) del Volkspark Friedrichshain di Berlino.

    Sebbene il significato del suo nome rimanga ancora incerto, è probabile che significhi “contarape”, dal nome dei vegetali che ama coltivare (in tedesco “Rübe” significa appunto “rapa”) e da ” Zahl”, che in tedesco significa “numero”.

    La sua origine viene narrata nella raccolta in otto volumi “Fiabe popolari tedesche” (Volksmärchen der Deutschen) di Johann Karl August Musäus (1735 – 1787), e precisamente nel racconto “Come il Rübezahl ebbe il suo nome” del 1783. Nella storia di Musäus, si narra che il gigante Rübezahl avesse rapito una bellissima principessa di nome Emma allo scopo di farne la sua sposa, nonostante la fanciulla fosse già promessa in matrimonio al principe Ratibor. Per spingerla dunque a cedere alle sue profferte amorose, il gigante le aveva donato alcune rape magiche che potevano trasformarsi in tutto ciò che ella voleva. Ma la fanciulla – furba come tutte le donne che si rispettino – decise di ingannare il Rübezahl con la promessa di sposarlo solo a condizione che questi le rivelasse il numero esatto di rape che si trovavano nel suo orto; al contrario, se si fosse sbagliato, avrebbe dovuto lasciarla libera. Mentre il Rübezahl era intento a contare per accondiscendere ai suoi desideri, la principessa trasformò una delle sue rape magiche in un cavallo e fuggì via lontano. Fu lei a dargli il soprannome dispregiativo di “contarape” (Rübezahl), che il gigante, per questo motivo, da allora detesta e non vuole sentir pronunciare: chiunque osi farlo, viene infatti punito con la morte! Non solo, ma per la stessa ragione il Rübezahl si rivela nemico degli esseri umani, in ricordo dell’inganno che fu ordito contro di lui da una mortale.

    Questo racconto – forse il più celebre riguardo a questo personaggio – ricorda per certi versi quello di Tremotino (Rumpelstilzchen) narrato dai fratelli Grimm, in cui il nanetto (non più gigante, dunque) vieta severamente alla protagonista di conoscere il suo nome, e muore nel momento in cui questa lo pronuncia; ricorda inoltre la fiaba di Pollicina (in tedesco: Däumelinchen) dello scrittore danese Hans Christian Andersen, dove la protagonista è costretta a vivere sottoterra, corteggiata dal signor Talpa, per poter sopravvivere al freddo dell’inverno, e da cui riesce a fuggire sul dorso di una rondine.

    Che il Rübezahl prenda il suo nome dal contare le rape, è confermato anche nell’ Enciclopedia Britannica del 1911. Altri significati (come ” coda di rapa”, dall’antica parola germanica “zagel” = coda) sono da escludere. Come tutte le creature leggendarie, ha però diversi altri nomi, come anche “Herr Johannes” (per allusione a san Giovanni Battista, dall’aspetto selvatico) o “signore della montagna”.


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    Fonte http://parliamotedesco.altervista.org e immagini dal web
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    La Befana vien di notte


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    La storia della befana inizia nella notte dei tempi e discende da tradizioni magiche precristiane. Il termine “Befana” deriva dal greco “Epifania”, ovvero “apparizione” o “manifestazione”. La Befana si festeggia, quindi, nel giorno dell’Epifania, che solitamente chiude il periodo di vacanze natalizie.

    La Befana è rappresentata, nell’immaginario collettivo, da una vecchietta con il naso lungo e il mento aguzzo, che viaggiando su di una scopa in lungo e in largo, porta doni a tutti i bambini. Nella notte tra il 5 e il 6 di gennaio, infatti, sotto il peso di un sacco stracolmo di giocattoli, cioccolatini e caramelle (sul cui fondo non manca mai anche una buona dose di cenere e carbone), la Befana vola sui tetti e, calandosi dai camini, riempie le calze lasciate appese dai bambini. Questi, da parte loro, preparano per la buona vecchina, in un piatto, un mandarino o un’arancia e un bicchiere di vino. Il mattino successivo, oltre ai regali e al carbone per chi è stato un po’ più cattivello, i bambini troveranno il pasto consumato e l’impronta della mano della Befana sulla cenere sparsa nel piatto.

    Come dice la famosa filastrocca “La Befana vien di notte con le scarpe tutte rotte col cappello alla romana viva viva la Befana!”, la Befana indossa un gonnellone scuro ed ampio, un grembiule con le tasche, uno scialle, un fazzoletto o un cappellaccio in testa, il tutto vivacizzato da numerose toppe colorate.
    Secondo la tradizione

    Originariamente la Befana era simbolo dell’anno appena passato, un anno ormai vecchio proprio come lo è la Befana stessa. I doni che la vecchietta portava, erano dei simboli di buon auspicio per l’anno che sarebbe iniziato.

    Nella tradizione cristiana, la storia della befana è strettamente legata a quella dei Re Magi. La leggenda narra che in una freddissima notte d’inverno Baldassare, Gasparre e Melchiorre, nel lungo viaggio per arrivare a Betlemme da Gesù Bambino, non riuscendo a trovare la strada, chiesero informazioni ad una vecchietta che indicò loro il cammino. I Re Magi, allora, invitarono la donna ad unirsi a loro, ma, nonostante le insistenze la vecchina rifiutò. Una volta che i Re Magi se ne furono andati, essa si pentì di non averli seguiti e allora preparò un sacco pieno di dolci e si mise a cercarli, ma senza successo. La vecchietta, quindi, iniziò a bussare ad ogni porta, regalando ad ogni bambino che incontrava dei dolcetti, nella speranza che uno di loro fosse proprio Gesù Bambino.


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    La befana
    di Giovanni Pascoli



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    Viene viene la Befana
    vien dai monti a notte fonda.
    Come è stanca! La circonda
    neve, gelo e tramontana.
    Viene viene la Befana.
    Ha le mani al petto in croce,
    e la neve è il suo mantello
    ed il gelo il suo pannello
    ed il vento la sua voce.
    Ha le mani al petto in croce.
    E s’accosta piano piano
    alla villa, al casolare,
    a guardare, ad ascoltare
    or più presso or più lontano.
    Piano piano, piano piano.
    Che c’è dentro questa villa?
    Uno stropiccìo leggero.
    Tutto è cheto, tutto è nero.
    Un lumino passa e brilla.
    Che c’è dentro questa villa?
    Guarda e guarda…tre lettini
    con tre bimbi a nanna, buoni.
    guarda e guarda…ai capitoni
    c’è tre calze lunghe e fini.
    Oh! tre calze e tre lettini.
    Il lumino brilla e scende,
    e ne scricchiolan le scale;
    il lumino brilla e sale,
    e ne palpitan le tende.
    Chi mai sale? Chi mai scende?
    Co’ suoi doni mamma è scesa,
    sale con il suo sorriso.
    Il lumino le arde in viso
    come lampada di chiesa.
    Co’ suoi doni mamma è scesa.
    La Befana alla finestra
    sente e vede, e s’allontana.
    Passa con la tramontana,
    passa per la via maestra,
    trema ogni uscio, ogni finestra.
    E che c’è nel casolare?
    Un sospiro lungo e fioco.
    Qualche lucciola di fuoco
    brilla ancor nel focolare.
    Ma che c’è nel casolare?
    Guarda e guarda… tre strapunti
    con tre bimbi a nanna, buoni.
    Tra la cenere e i carboni
    c’è tre zoccoli consunti.
    Oh! tre scarpe e tre strapunti…
    E la mamma veglia e fila
    sospirando e singhiozzando,
    e rimira a quando a quando
    oh! quei tre zoccoli in fila…
    Veglia e piange, piange e fila.
    La Befana vede e sente;
    fugge al monte, ch’è l’aurora.
    Quella mamma piange ancora
    su quei bimbi senza niente.
    La Befana vede e sente.
    La Befana sta sul monte.
    Ciò che vede è ciò che vide:
    c’è chi piange e c’è chi ride;
    essa ha nuvoli alla fronte,
    mentre sta sul bianco monte.
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    L’atomismo
    DEMOCRITO (460 - 370 a.C.)



    Naturale di Abdera (Tracia), per la quale è spesso chiamato "Abderite". Proprietario per eredità di vasti beni, condusse una vita agiata che gli permise di dedicarsi interamente allo studio. Ci sono autori che lo considerano l'uomo più colto del suo tempo. Secondo Diogene Laerzio, Democrito scrisse settantadue opere, di grammatica, fisica, matematica ed etica, di cui solo pochi frammenti sono pervenuti a noi.

    Nella storia del pensiero greco è ricordato come forse il materialista più coerente. Sebbene la sua teoria atomica derivi in parte da Leucippo, Democrito deve essere considerato il vero fondatore dell'atomismo.


    Nella storia del pensiero greco è ricordato come forse il materialista più coerente. Sebbene la sua teoria atomica derivi in parte da Leucippo, Democrito deve essere considerato il vero fondatore dell'atomismo.

    Democrito


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    -L'universo più grande (megas diacosmos) (frammenti).
    - Sull'intelligenza (peri nou) (frammenti).




    L'ATOMISMO



    I sistemi di Anassagora ed Empedocle costituiscono un primo tentativo di risolvere il dilemma movimento-intelligibilità. Se il movimento o il cambiamento è concepito come "flusso puro", non possiamo affermare nulla di nulla e di conseguenza, non possiamo sapere nulla, l'essere è inintelligibile.

    Se, invece, il movimento è concepito come una mescolanza e separazione di elementi primordiali, il giudizio diventa possibile e, di conseguenza, la conoscenza, l'essere è intelligibile. La visione vitalistica dell'Universo è sostituita da una visione meccanicistica. Ma quale motivo ci sarebbe per scegliere una visione piuttosto che un'altra? Il motivo è molto semplice, la riconciliazione del movimento con l'intelligibilità.
    O ammettiamo che la realtà è puro divenire e neghiamo l'intelligibilità dell'essere (Eraclito), oppure ammettiamo l'intelligibilità e neghiamo il movimento (Parmenide), oppure ammettiamo il movimento e l'intelligibilità, e in questo caso il movimento è mescolanza e separazione (Anassagora, Empedocle).

    Tuttavia, i sistemi di Anassagora ed Empedocle erano partiti senza considerare due problemi fondamentali, intimamente legati al dilemma del movimento e dell'intelligibilità: il problema della divisibilità "infinita" e il problema del vuoto.

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    Supponiamo qualsiasi essere, dividiamolo in parti sempre più piccole. Le possibilità sono due: si arriva a parti che non possono essere ulteriormente divise, o, al contrario, la divisione può continuare all'infinito, senza mai finire. Nel primo caso le parti sarebbero inestese (solo l'inesteso non si può dividere) e si arriverebbe così all'assurdità di supporre che il corpo esteso (l'essere) sia costituito da parti inestese; nel secondo caso, l'essere sarebbe composto di parti infinitamente piccole, tanto piccole da essere più piccole di qualsiasi grandezza che possiamo considerare; Ora, la somma degli infinitesimi non può risultare in più di un infinitesimo.

    Da questo argomento Zeno di Elea trasse la conclusione che l'essere non è composto di parti, che è uno e non multiplo, "totalmente compatto”. Seguendo rigorosamente la logica di Zeno e fornendo i dati mancanti, possiamo concludere che per lui, sebbene l'essere sia esteso (perché ogni "corpo" è, e c'è solo l'essere corporeo), è "fisicamente" indivisibile, anche se lo è mentalmente. E se l'essere individuale è totalmente compatto, senza possibilità di separazione delle sue parti, poiché non è composto di parti, allora è immobile in sé, immutabile e incorruttibile.

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    Supponiamo ora che vi sia una molteplicità di esseri sempre uguali a sé stessi, cioè senza possibilità di mutamento interno. Questi esseri individuali sarebbero separati l'uno dall'altro, non importa quanto vicini tra loro supponiamo, altrimenti non sarebbero molti esseri, ma uno solo. Tra un essere e l'altro ci sarebbe uno spazio vuoto, ma cos'è lo spazio vuoto? Un essere corporeo? Non è proprio la mancanza di essere? Cioè, il non essere? e se fosse qualcosa di corporeo, e quindi esteso, non ci sarebbe separazione tra un essere e l'altro, ma tutto formerebbe un tutto, "una sfera" (Sphairos) omogenea, compatta, senza possibilità di movimento.

    Si arriva così di nuovo, e sfruttando l'argomentazione di Zenone contro la divisibilità "infinita" e la possibilità del vuoto, al concetto di "essere" di Parmenide, nel suo insieme, compatto, indivisibile, non generato ed eterno, immobile: "Non c'è né non ci sarà mai nulla al di fuori dell'essere, perché il destino lo ha incatenato all'essere tutto eternamente e immobile. "Non è divisibile, perché è tutto uguale." Né può divenire più in quel luogo (che gli impedirebbe di formare un tutto continuo) né meno; ma è tutto pieno di essere» (Parmenide, frammento 8, 22-25).




    continua.....

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    con tanto affetto ricevi i miei piu cari auguri di un buon compleanno

    :torta:

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    Nono è Jessica ma il mio nipotino ormai ha 8 mesi solo che avevo tanta nostalgia di vederlo
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    :bisous:
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    :urso1.gif: 11yjtburstyt

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    Grazie a te monello oggi sono riuscita a mettere un nuovo capitolo xd :emoticon-amicizia-1.gif:
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    Tutti gli indiani devono danzare.

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    Fra poco, la prossima primavera, viene il Grande Spirito.
    Egli riporterà tutta la selvaggina di ogni genere.
    La selvaggina sarà abbondante dovunque.
    Tutti gli indiani morti torneranno e vivranno di nuovo.
    Saranno tutti forti come i giovani, e saranno di nuovo giovani.
    Il vecchio indiano cieco vedrà di nuovo e diventerà giovane e vivrà bene.
    Quando il Grande Spirito arriverà in questo mondo,
    allora tutti gli indiani andranno sulle montagne, in alto, lontano dai bianchi.
    I bianchi non potranno allora ferire gli indiani.
    Poi, mentre gli indiani saliranno in alto,
    verrà una grande inondazione e tutti i bianchi moriranno annegati.
    Dopo di che le acque si ritireranno,
    e poi solo gli indiani si incontreranno dovunque,
    e vi sarà in abbondanza selvaggina di ogni genere.
    Poi lo stregone dirà agli indiani di passare parola
    a tutti gli indiani di continuare a danzare,
    e verranno i tempi buoni.
    Gli indiani che non danzano,
    che non credono a questo,
    diventeranno piccoli, alti un piede,
    e rimarranno così.
    Alcuni diverranno di legno e saranno buttati nel fuoco.



    i9cn4
    Wovoka, Paiute



    Indianer%20wolf




    Shanti2007
    ©~Credit by~ © © Shanti2007



    Tube-Sfondi e Frasi del Web

    Edited by Shanti2007 - 3/2/2021, 18:56
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    bzAsI


    Dentro un uovo di buon cioccolato

    vorrei tanto ci fosse una cosa,,,

    non un puffo, un anello,un soldato,

    ma un momento di festa gioiosa.

    Voglio dirti proprio per questo

    ho pregato per voi ieri sera

    perchè oggi sia un giorno lieto.

    Una Pasqua di speranza vera.



    R. Fontana



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    Venerdì Santo


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    Nulla, credi, è più dolce per i nostri
    occhi di questo giorno senza sole,
    con i monti velati di viole
    perché la primavera non si mostri:::

    Venerdì Santo! E ieri sera tu
    ti rimendavi quest'abito, tutto
    grigio, un abito come a mezzo lutto
    per la morte del povero Gesù...

    Traevi dalla tua cassa di noce
    qualche grigio merletto secolare:
    così vestita, accoglierà l'altare
    la buona amante con le mani in croce...

    Prega per me, prega per te, pel nostro amore,

    per nostra cristiana tenerezza,
    per la casa malata di tristezza,
    e per il grigio Venerdì che muore:
    Venerdì Santo, entrato in agonia,
    non ha la sua campana che lo pianga...

    come un mendico, cui nulla rimanga,
    rassegnato si muore sulla via...
    Prega, e ricorda nella tua preghiera
    tutte le cose che ci lasceranno:

    anche il ramo d'olivo che l'altr'anno
    ci donò, per la Pasqua, Primavera.

    Quante volte l'olivo benedetto
    vide noi moribondi nel piacere,
    e vide le nostre due anime, in nere
    vesti, per noi pregare a capo al letto!

    E pregavamo, come se morisse
    qualcuno: un poco, sempre, morivamo:
    Ma sempre sull'aurora nuova, il ramo
    d'olivo i liei amanti benedisse!

    Ora col nuovo tu lo cambierai:
    anche devi pregare per gli specchi
    velati, per i libri, per i vecchi
    abiti che tu più non vestirai...

    E' sera: un riso labile si perde
    sulle tue labbra, mentre t'inginocchi:
    io guardo, dietro la veletta, gli occhi...
    due perle nere in una rete verde.

    Fausto Maria Martini


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    Gesù


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    E Gesù rivedeva, oltre il Giordano,
    campagne sotto il mietitor rimorte,
    il suo giorno non molto era lontano.

    E stettero le donne in sulle porte
    delle case, dicendo: Ave, Profeta!

    Egli pensava al giorno di sua morte.

    Egli si assise, all'ombra d'una mèta
    di grano, e disse: Se non è chi celi
    sotterra il seme, non sarà chi mieta.

    Egli parlava di granai ne' Cieli:
    e voi, fanciulli, intorno lui correste
    con nelle teste brune aridi steli.

    Egli stringeva al seno quelle teste
    brune; e Cefa parlò: Se costì siedi,
    temo per l'inconsutile tua veste;

    Egli abbracciava i suoi piccoli eredi:

    -Il figlio Giuda bisbigliò veloce-
    d'un ladro, o Rabbi, t'è costì tra 'piedi:

    Barabba ha nome il padre suo, che in croce
    morirà.- Ma il Profeta, alzando gli occhi

    -No-, mormorò con l'ombra nella voce,
    e prese il bimbo sopra i suoi ginocchi.

    Giovanni Pascoli



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    Fonte:web
13 replies since 25/9/2008
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