La strada del desiderio

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    La strada del desiderio

    di Megan Hart


    LhxpvJ7




    Un viaggio in macchina.
    Per Molly rappresenta la libertà.
    La libertà di essere la persona che vuole essere. La libertà di fare le sue scelte. La capacità di apprezzare le cose di suo gusto.
    Non ci sono limiti né imposizioni o regole. Solo possibilità. Occasioni. Immaginazione.
    Perciò quando un uomo imponente, un bel tenebroso, le passa accanto come se fosse il padrone del mondo, accende il desiderio di Molly, potente e ardente come il motore della sua Impala. E lei può lasciar scorrere sfrenato quel desiderio in tutti i modi che vuole.
    Tutti.





    1. Capitolo

    Qualcuno aveva parcheggiato una Impala blu notte accanto alla sua sobria e banale berlina beige a quattro porte. Era una macchina vecchia, ma la Impala era vintage. Grande. Linee fluide ed eleganti che le facevano venire voglia di farvi scorrere la mano. Aveva un portabagagli tanto spazioso da nascondervi un branco di adolescenti eccitati che volevano entrare di straforo nel drive-in, e un cofano che non finiva più. Senza alzarlo non avrebbe potuto dire che motore aveva, ma scommetteva che fosse almeno un tre e cinquanta, abbastanza potente da far filare quella bellezza a tutta velocità prima che lei potesse mettere la seconda nella sua carretta. Avvicinandosi, notò qualche macchiolina di ruggine sul paraurti, e un’occhiata all’interno le rivelò che neppure l’abitacolo era immacolato. Comunque, quell’automobile era un diamante e, in confronto, la sua era un pezzo di vetro.

    Si consolò pensando a quanta benzina consumava una macchina così, e che forse le mancavano le comodità moderne come i finestrini elettrici e uno stereo decente. Misera consolazione, quando sapeva che si sarebbe accesa con il ruggito di un leone, mentre la sua faceva il rumore di una carta da gioco incastrata tra i raggi della ruota di una bicicletta.

    Be’, pazienza… La sua auto non era un granché ma era tutta pagata, e l’avrebbe portata dove doveva andare. Per lei contava solo quello.

    Continuando ad ammirare la Impala, si mise al volante e infilò la chiave nell’accensione.

    Si disse che era solo uno scherzo dell’immaginazione se il portachiavi le sembrava più leggero in mano. Con una zampa di coniglio come portafortuna, una minitorcia e una serie di ciondoli portachiavi raccolti nel corso degli anni, era impossibile che la mancanza di un’unica chiave facesse differenza.

    Eppure, era così.

    L’auto si mise in moto subito, anche se senza alcun rombo eclatante, e Molly cercò di non provare un senso d’inferiorità rispetto alla Impala. Però in quel momento fu costretta a distogliere lo sguardo dalla Impala perché vide uno spettacolo altrettanto notevole che le passò davanti.

    «Ma ciao» mormorò di riflesso.

    L’uomo che attraversava il parcheggio, diretto verso di lei, camminava come se fosse il padrone della terra che calpestava con i suoi vecchi stivaletti di cuoio. Le lunghe gambe inguainate in jeans stinti si avvicinavano a lei con una falcata poderosa, senza esitazioni. Il giubbotto era come gli stivali – sciupato, pieno di pieghe e malconcio, ma terribilmente sexy. Il resto non era niente male, pensò, guardandolo mentre buttava qualcosa nel bidone dei rifiuti con una mano mentre si portava il bicchiere di carta del caffè alle labbra con l’altra mano. Aveva dei lineamenti affilati e decisi, con il naso, gli zigomi e le mandibole che si adattavano perfettamente tra loro come le tessere di un puzzle. Aveva un velo di barba appena più scuro dei capelli biondastri dal taglio corto, leggermente irti in testa davanti.

    La barbetta graffia, pensò, con un brivido che non era dovuto all’aria frizzante d’inizio autunno.

    Di profilo, la bocca arricciata per bere dal bicchiere, sembrava rigida, forse anche un tantino dura, ma quando passò davanti all’auto di Molly e si girò appena verso di lei, vide che non aveva le labbra dure. La sua era una bocca che sembrava fatta per dare baci per ore… sempre che una donna potesse resistere così tanto tempo prima di ordinargli di usarla in altri punti del suo corpo.

    E gli occhi erano verdi, si accorse Molly quando lui la fissò attraverso il parabrezza, girando la testa per continuare a guardarla mentre si fermava.

    Molly deglutì a vuoto, colta sul fatto. Arrossì, anche se non del tutto per l’imbarazzo. Lui le sorrise, e gli occhi emisero un lampo… poi riprese a camminare disinvolto. Superò la sua auto e infilò la mano nella tasca del giubbotto per prendere le chiavi.

    Aprì la portiera della Impala e si mise al volante, poi la chiuse con un cigolio e uno scricchiolio che Molly poté sentire anche all’interno del suo bozzolo di vetro e metallo.

    Aveva visto giusto – lui girò la chiave dell’accensione e la Impala emise un rombo potente che era un vero ruggito.

    Lo guardò fare una torsione del busto e mettere un braccio dietro il sedile per guardare dal lunotto posteriore mentre usciva dal parcheggio in retromarcia.

    Avrebbe dovuto evitare di cogliere l’occhiata che le lanciò prima di allontanarsi. E non avrebbe dovuto guardare nello specchietto retrovisore, sperando di vedere un’ultima immagine dell’uomo. Avrebbe dovuto sfuggirle il sorrisetto che le rivolse. E un cenno di saluto.

    E invece notò tutto.




    Continua.....




    Fonte:/www.eharmony.it
     
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    Capitolo 2



    Da trenta chilometri la strada era deserta davanti a Molly e anche alle sue spalle. Era quasi al confine con la Pennsylvania. Guardò fuori e contemplò lo splendido panorama. Il cielo era terso e azzurrissimo, tanto luminoso che le sembrava di poter stendere la mano e prenderlo. Ogni volta che girava un angolo si aspettava di trovare traffico, ma fino a quel momento niente.

    La radio non prendeva quasi, ma aveva collegato l’iPod all’impianto stereo, perciò la musica non le mancava.

    Se solo avesse potuto trovare qualcosa che aveva voglia di ascoltare.

    Non aveva pensato di fare una playlist appositamente per il viaggio, prima di fare i bagagli, prendere tutto ciò che aveva e lasciare Cincinnati. Missing You di John Waite non andava bene. E neppure You’re Beautiful di James Blunt. Era tanto concentrata a trovare qualche brano che non la facesse piangere né le facesse venire l’impulso di buttare l’iPod fuori dal finestrino che non si accorse che non era più sola lungo la strada – finché non vide nello specchietto retrovisore il lampo del riflesso del sole sulla cromatura.

    Era una massiccia auto blu, ma era troppo lontana per essere sicura che fosse la Impala che aveva visto prima. Ma chi prendeva in giro? Il suo cuore aveva cominciato a martellarle nel petto nell’istante stesso in cui l’aveva notata. Strinse spasmodicamente il volante, fissando quel riflesso che si avvicinava rapidamente.

    Era lui.

    L’avrebbe sorpassata, ne era sicurissima. Aveva già sollevato leggermente il piede sull’acceleratore, come se il suo corpo non avesse intenzione di aspettare che il cervello prendesse il comando. Il vento che le sferzava i capelli entrando dal finestrino aperto le portò all’orecchio il rombo cupo della Impala che guadagnava terreno.

    E le portò anche qualcos’altro. Un lieve ritmo cadenzato, un’idea di rock, una canzone che si sforzava di farsi riconoscere. Un brano con tanta chitarra, e delle strofe urlate. Una canzone che le faceva venire voglia di scuotere la testa, e ballare, ballare, ballare… fino a crollare sfinita e sudata. Non era la canzone che pensava che fosse quella che cercava, però le sue dita la trovarono sull’iPod senza troppo sforzo. Era perfetta.

    La Impala, con i finestrini abbassati, la raggiunse e si mise accanto a lei al suo passo. L’uomo al volante girò la testa per guardarla da dietro gli occhiali scuri. Il suo sorriso impudente le saettò dritto al ventre, e da lì scese più giù in un rivolo liquido.

    La canzone Animal I Have Become dei Three Days Grace pompava dalle casse, e Molly non poté fare a meno di tamburellare sul volante al ritmo del brano. Si agitò sul sedile, sapendo che avrebbe dovuto tenere lo sguardo fisso sulla strada, ma non poté trattenere un’occhiata verso di lui.

    Stavolta fu lei a fare un cenno di saluto.


    continua...

     
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    Capitolo 3

    Le ricordò quando era al ballo della scuola con le amiche e aveva notato un bel ragazzo che seguiva il corso di matematica con lei. L’aveva visto di sfuggita in un angolo, poi era andata a sbattere con lui al tavolo del buffet, e l’aveva cercato con ansia tra le coppie che ballavano in pita. E infine… finalmente! Aveva sentito battere su una spalla, si era girata ed eccolo là, a invitarla a ballare insieme l’ultima canzone della festa. Era sempre Stairway to Heaven.

    Da cinquanta chilometri giocava a rincorrersi con il tizio al volante della Impala. Lui accelerava e la sorpassava, poi lei lo raggiungeva e lo superava. A volte procedevano affiancati per un paio di minuti. Era una corsa automobilistica, ma senza il traguardo.
    Mentre guidava, Molly lo scorgeva a tratti, e ogni volta le sembrava più bello. Con quei capelli, quel sorriso, un’ombra di barba, gli occhiali da sole. Il giubbotto di pelle marrone. L’auto potente e sexy. Era la perfezione avvolta in una confezione di rude cuoio, e più lo guardava e più le sue fantasie diventavano bollenti.

    Aveva mani grandi. Non era la sua immaginazione, le vedeva bene mentre stringevano il volante. Mani così potevano facilmente stringerle entrambi i polsi in un pugno solo – e un uomo come lui l’avrebbe fatto, oltretutto. L’avrebbe sbattuta contro il muro, le avrebbe allargato le gambe con un ginocchio e le avrebbe bloccato le mani sopra la testa. La barba corta le avrebbe graffiato la pelle tenera del collo quando l’avesse baciato, affondandovi i denti con la pressione giusta, tanto per farla trasalire.

    L’avrebbe presa lì, in piedi contro il muro, con la stessa facilità che se fossero stati sul letto, sorreggendole il sedere con una mano. Lei gli avrebbe cinto i fianchi con le gambe e avrebbe potuto guardarlo negli occhi, e avrebbe sentito il suo respiro sul volto quando lui avesse invocato il suo nome ansimando.

    Quell’immagine svanì quando furono rallentati dal traffico che incontrarono. La Impala rimase indietro, lasciando parecchio spazio tra sé e le auto incolonnate davanti. Molly poteva vederlo allo specchietto, che tamburellava sul volante al ritmo di una musica che però lei non poteva sentire perché aveva alzato il finestrino. Non poté fare a meno di lanciargli un’occhiata quando lo superò a sinistra. Appena lui ebbe spazio, s’immise nella sua corsia, dietro di lei.

    Dietro. Era come le piaceva. Molly immaginò di essere a quattro zampe mentre lui la penetrava da dietro, riempiendola tutta, e le passava una mano davanti per massaggiarle il clitoride che pulsava. Lei avrebbe stretto spasmodicamente le lenzuola nei pugni, spiegazzandole, e si sarebbe spinta all’indietro verso di lui, per spronarlo ad affondare più profondamente. Con più forza. L’avrebbe sfondata, accarezzandola fino a farla venire.

    «Dio…» mugugnò. Al suono della sua voce, quella fantasia erotica si dissolse. Molly si sforzò di concentrarsi sulla strada. Però non riusciva a liberarsi da quel pensiero… «Scommetto che ci dà dentro come un martello pneumatico.»

    Dirlo ad alta voce la fece arrossire… e le infiammò anche altre parti del corpo. Però non voleva essere ipocrita e fingere di non pensarlo. Da troppo tempo non si concedeva neppure di notare un altro uomo. Aveva avuto troppa paura. Ammettere, anche solo con sé stessa, di cercare qualcosa di nuovo equivaleva a confessare che non le bastava quello che aveva.

    Quello che aveva avuto.

    Be’, ora non aveva più nulla. Niente Peter, niente casa, niente preparativi per le nozze. Niente luna di miele alle Bahamas. E niente lavoro. Aveva solo quella macchina, con tutto ciò che possedeva ammassato nel portabagagli e sul sedile posteriore, e abbastanza soldi per tornare a Philadelphia dove forse aveva ancora un lavoro e un appartamento ad attenderla, o forse no.

    Be’, non aveva solo quello, si disse mentre toccò a lei di essere sorpassata dalla Impala. Ora aveva anche una fantasia. Ed era ora di concretizzarla…



    to be continued....
     
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    Capitolo 4



    Quel tratto di strada le era sempre parso interminabile, senza aree di sosta attrezzate, e praticamente nulla da vedere – solo campi da entrambi i lati. Ma stavolta no. L’auto bruciava i chilometri, e ogni segnale di distanza progressiva che passava le ricordava che prima o poi l’uomo al volante della Impala blu avrebbe imboccato un’uscita e sarebbe sparito per sempre… oppure lei.

    Da un’ora giocavano a rincorrersi finché alla fine lui era rimasto davanti a lei a una certa distanza. Molly avrebbe potuto raggiungerlo se avesse pigiato sull’acceleratore, ma la macchina era tanto carica che non voleva rischiare di surriscaldare il motore. O prendere una multa che non poteva permettersi di pagare, si disse con rammarico mentre la Impala si allontanava sempre di più davanti a lei.

    Era stato bello finché era durato, si disse. Sorrise quando le canzoni sull’iPod finirono e ripartirono dall’inizio, e dalle casse uscì di nuovo con prepotenza Animal I Have Become. Non avrebbe più potuto ascoltare quella canzone senza pensare al misterioso sconosciuto con un sorriso impudente e i jeans perfetti.

    Dio, però era bello desiderare di nuovo. Aveva passato buona parte dell’ultimo anno a cercare di convincersi che essere contenta di stare con qualcuno era uguale a essere felice. Si era sforzata di respingere il minimo accenno d’insoddisfazione per non far soffrire l’uomo che aveva speso l’equivalente di tre mesi di stipendio per comprarle l’anello, ma non ascoltava mi neppure una parola di quello che gli diceva.

    Be’, almeno le parole ti lascio le aveva sentite di certo. L’aveva accusata di scappare. Le aveva rivolto insulti per cui non poteva rimproverarlo. Ma non era riuscita a spiegargli che non stava solo scappando via da qualcosa. Voleva correre anche verso qualcosa. Un sogno. Una vita. Un’occasione.

    Per la prima volta da più di un anno, da quando aveva detto di sì alla proposta di matrimonio di Peter perché non sapeva come rifiutare, la vita le sembrava come quella strada che si estendeva davanti a lei – lunga, ampia e piena di sorprese. E lei intendeva sfruttarla al massimo. Per cominciare bene, forse, avrebbe potuto non avere timore di cogliere certe… occasioni.

    Ma se avesse avuto veramente la possibilità di fare sesso selvaggio con un bell’uomo senza nome, l’avrebbe fatto? Dov’era il confine tra realtà e fantasia? Scrutò la strada davanti a sé, ma la Impala non si vedeva più. Un’altra occasione sfumata… proprio come la sera in cui aveva conosciuto Peter.

    Era in un locale con le amiche, a bere e flirtare. Le si era avvicinato un uomo che le aveva chiesto di ballare. Per mezz’ora avevano praticamente fatto sesso sulla pista, strusciandosi e ondeggiando incollati l’uno all’altro. Era stata la mezz’ora più sexy della sua vita… finché lui non le aveva proposto di appartarsi per finire quello che avevano cominciato.

    Molly avrebbe voluto. Ma non l’aveva fatto.

    Dieci minuti dopo che il suo cavaliere si era volatilizzato, si era imbattuta in Peter. Il resto della storia abbracciava due anni scialbi e insoddisfacenti.

    Non che fosse mai successo niente di grave. Peter non rimaneva fuori fino a tardi a bere con gli amici né sperperava soldi in alcol e donne. Ricordava persino di abbassare la tavoletta in bagno. Pagava le bollette entro la scadenza e non le lasciava mai l’auto senza benzina. E le portava i fiori – gigli, l’unico fiore al mondo che Molly detestasse con tutto il cuore. Le faceva le bistecche ben cotte, quando a lei piaceva la carne al sangue. Sceglieva il maglione blu mentre lei avrebbe preferito quello lilla, un giallo quando lei avrebbe voluto vedere una commedia romantica.


    Peter non l’ascoltava mai. Sosteneva di amarla, ma non l’ascoltava mai, proprio mai. Oppure forse ascoltava, pensò Molly, però non voleva sentire.

    Spesso si era chiesta che cosa sarebbe successo se fosse andata con quello sconosciuto, cedendo a un impulso trasgressivo. Non avrebbe mai saputo come sarebbe cambiata la sua vita.

    Ma ormai non era più la stessa. Aveva lasciato quella donna a Cincinnati. Perciò se l’uomo della Impala le avesse presentato un’occasione, questa Molly non se la sarebbe lasciata sfuggire.



    continua....

     
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    Capitolo 5

    Lo stomaco di Molly brontolò di nuovo. Metterci una mano sopra non sarebbe servito a placarne il senso di vuoto, però anche mentre stendeva le dita verso il sacchetto del supermercato sul sedile accanto, sapeva che uno stuzzichino non le sarebbe bastato. Aveva bisogno di qualcosa di sostanzioso, non di barrette ai cereali né sacchetti di patatine.

    Non c’era un autogrill in vista per chilometri, quindi avrebbe dovuto trovare una tavola calda, se fosse stata fortunata. E si sarebbe dovuta accontentare di un hamburger, se invece non avesse avuto fortuna.

    Imboccò la prima uscita e seguì i cartelli indicatori per una tavola calda. Il parcheggio era pieno di automobili e camion. Era un buon segno, pensò. I camionisti trovavano sempre i posti dove si mangiava bene.

    E poi vide un’altra vettura in fondo al parcheggio – una familiare Impala blu.

    Con un tuffo al cuore, scese dalla macchina e si stirò. Si guardò intorno ma non vide alcun segno del proprietario. Allora era dentro. Magari a mangiare un hamburger voracemente, sporcandosi le mani. Si sarebbe leccato le dita e le avrebbe sorriso sornione, forse le avrebbe offerto di dare un morso. Lei si sarebbe protesa sul tavolo e avrebbe aperto la bocca…

    Eh, sì, per lui avrebbe aperto la bocca più che volentieri.

    Molly si riscosse e agguantò la borsetta, decisa a riprendere il controllo di sé prima di entrare. Lanciò un’altra occhiata alla Impala, poi salì i gradini di mattoni ed entrò nel locale. Subito le brontolò lo stomaco e tossì per l’odore tipico di una tavola calda, un misto di fumo di sigaretta e cibo unto. Decise di ordinare una colazione anche se era ora di cena.

    Cercò di guardarsi intorno con discrezione mentre seguiva la cameriera verso un tavolo con il séparé in fondo. Si sedette con le spalle al muro per poter avere una visuale degli altri tavoli, anche se all’inizio tenne gli occhi fissi sul menù.

    Aveva già deciso che cosa prendere, ma fingere di leggere il menù le permetteva di tenere lo sguardo basso, e avere tutto il tempo di capire se lui c’era. Forse aveva quasi finito, comunque, e lei avrebbe potuto ammirare il suo bel fondoschiena mentre pagava alla cassa.

    Poi, di colpo, Molly non fu più tanto sicura di volerlo vedere. Sì, si erano ricorsi in strada. E lui aveva un ottimo gusto in fatto di musica, e di auto. E di vestiti. Era bello, e con ciò? L’aveva notato solo perché era sexy. E avrebbe scommesso che aveva già sorpassato anche quattro o cinque dei camionisti che ora erano nel locale, però non vi aveva prestato attenzione. Non aveva un’importanza particolare il fatto che lui avesse deciso di fermarsi lì. Non significava niente.

    Non era un segno del destino.

    Non era neppure fortuna.

    «Ciao» disse una voce calda e profonda come il rombo di un motore potente.

    Molly alzò lo sguardo.

    Era lui.


    continua....

     
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    Capitolo 6

    Cavoli. Era la sua occasione, e lei l’avrebbe colta al volo.

    Lui sorrise. Lei sorrise. L’uomo aveva infilato le mani nelle tasche del giubbotto e non sembrava intenzionato ad andarsene.

    «La torta è buona qui» disse, pratico. «Quella alla ciliegia è la mia preferita.»

    «Allora perché non ti siedi, e te ne offro una fetta?» La proposta le uscì dalle labbra spontaneamente, e le guance di Molly si tinsero di rosso, ma lei non distolse lo sguardo.

    «Ci speravo, in realtà. Sono Jake.» Si sedette sulla panca di fronte a lei e le porse la mano sopra il tavolo.

    Lei la strinse. «Molly.»

    Lui batté le nocche sul tavolo, poi unì le mani. «Bel nome.»

    «Grazie.»

    Poi non ci fu molto altro da fare, tranne che sorridere.

    E Jake aveva un bel sorriso.

    Arrivò la cameriera che prese le ordinazioni e si allontanò, lasciando Molly a fissare Jake. Si aspettava di essere a disagio, ma l’unica sensazione che provava era desiderio.

    Aveva già visto degli uomini belli. Peter, pur non avendo la capacità di turbarla, aveva fatto girare più di una donna a guardarlo. Così da vicino, Molly notò che Jake non era perfetto come quando aveva gli occhiali da sole ed era al volante dell’auto. Certo, aveva dei notevoli occhi nocciola con riflessi verdi, e il suo sorriso era pieno di promesse, come se volesse farle capire che sapeva perfettamente come usare quelle labbra carnose e sensuali. Però i suoi lineamenti non erano regolari come quelli di un modello, quel sorriso sexy era leggermente sghembo, e aveva delle rughette sottili agli angoli degli occhi. Se la bellezza doveva incarnarsi in proporzioni simmetriche, a Jake mancavano, a causa delle sopracciglia irregolari e di un naso che era stato rotto chissà come. Non era perfetto, ma aveva un fascino reale, e anche vissuto, forse per le tante ore al volante che gli segnavano gli occhi con dei leggeri cerchi scuri per la stanchezza.

    «Dove sei diretta?» le domandò, dopo che la cameriera li ebbe serviti. Prese un pezzo di torta con la forchetta mentre Molly tagliava i suoi pancake.

    «Philadelphia.»

    «Sembra un bel posto in cui andare.» Le rivolse un altro sorriso, poi leccò il ripieno alla ciliegia dalla forchetta.

    Molly osservò la sua lingua che accarezzava il metallo, poi leccava le labbra, e non riuscì più a seguire il discorso. Quando lui smise di sorridere, si sforzò di spostare lo sguardo dalla sua bocca agli occhi.

    «Che cosa c’è a Philadelphia?» le chiese poi.

    Molly esitò prima di rispondere. Poi, superstiziosa, decise di non dirglielo per non portarsi sfortuna da sola.

    «Niente. Almeno non ancora» disse con sincerità.

    «Bene. Allora non importa quanto impiegherai per arrivarci, giusto?»

    Lei fece una risatina sommessa. «Non proprio. Vorrei essere a destinazione prima di finire i soldi.»

    Jake infilzò un altro boccone e se lo portò alle labbra ma non lo mangiò subito, lasciando a mezz’aria la frolla dorata e una grossa ciliegia grondante sciroppo scarlatto tra i rebbi della forchetta.

    «Posso chiederti perché vai a Philadelphia se non c’è niente ad attenderti?»

    Poi mangiò il boccone, e Molly guardò le sue labbra che si chiudevano. Se l’avesse baciato in quel momento la sua bocca avrebbe avuto un sapore dolce e aspro, una combinazione che le era sempre piaciuta. Distolse lo sguardo dalla bocca e lo posò di nuovo sui suoi occhi nocciola.

    «Ho rotto il fidanzamento e dovevo andare via, voltare pagina e ricominciare da zero in un posto nuovo.»

    «Fantastico.» Jake sorrise di nuovo e Molly pensò che fosse una fortuna che ci fosse il tavolo a separarli, altrimenti se la sarebbe ritrovata in braccio, e con le mani piene di lei. «È un bene dare un taglio netto, fare pulizia.»

    «A volte sono meglio le cose sporche, però.»



    continua...

     
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    Capitolo7

    «Bella macchina.» Molly fece scorrere la mano sul cofano dalle linee eleganti della Impala. Sentiva Jake vicino, alle sue spalle, ma senza toccarla. Non ancora. Lo guardò. «E’ del ’66?»

    «Sì.» Jake parve colpito. «Come lo sapevi?»

    Era vicinissimo alla vettura, ma Molly passò tra lui e la macchina per arrivare al bagagliaio, sfiorandolo con la spalla e il fianco, e sentì il suo respiro che le accarezzava i capelli. Indicò i fanalini posteriori. «Li hanno cambiati nel ’65.»

    «Sei esperta di automobili?»

    Lei scosse la testa. «Non proprio. Conosco solo le Impala, e le Chevelle, che praticamente sono come le Impala, ma più piccole.»

    «Di solito le donne…»

    Lo interruppe con una risata e alzò una mano. «Sì, lo so. Ho imparato da mio padre. Lavorava con le auto classiche. Di tutti i tipi. Ma queste hanno qualcosa di speciale, no?»

    Jake annuì. «Sì. Non le fanno più così.»

    «Eh, no.»

    Jake incrociò le braccia e appoggiò un fianco all’auto, con una gamba sopra l’altra. Una classica posa alla James Dean. E gli si addiceva. D’altronde, pensò Molly, gli si addiceva praticamente tutto.

    «Mio padre aveva un’autofficina» disse dopo un secondo. «L’ha venduta al suo socio, Vinnie, prima di mo-rie.» Fece una pausa. «Un paio di settimane fa mi ha chiamato il figlio di Vinnie per dirmi che il padre era morto, e lui non è interessato a gestirla. Io invece sì, credo.»

    Jake inclinò la testa da un lato. «Ma dai! Davvero?»

    Molly si strinse nelle spalle. «Mi serve un lavoro. Mi hai chiesto che cosa mi aspettava a Philadelphia. Forse è questo.»

    Molly preferiva non soffermarsi a pensare perché improvvisamente avesse deciso di dirgli tutto, quando poco prima aveva evitato. Sfiorò l’auto mentre si avvicinava a lui. Jake non si mosse, non si spostò. E le andava bene così. Da quella distanza ravvicinata, doveva inclinare leggermente la testa all’indietro per guardarlo in faccia. E poteva anche sentire il suo profumo, una colonia speziata che non conosceva.

    Era scesa la sera mentre mangiavano la torta e i pancake. Il parcheggio era più movimentato, con i camion che andavano e venivano. La luce dei lampioni tremolava, non ancora pronta a accendersi.

    Molly strusciò contro la macchina finché il bordo del giubbotto di pelle di Jake le sfiorò la coscia. Però lui continuò a rimanere immobile, a braccia conserte, fissandola dritto negli occhi. Ora la bocca che l’aveva attirata sin dal primo sguardo non sorrideva più. Jake aveva dischiuso appena le labbra, ma non abbastanza da farle vedere i denti o la lingua. Esitò, pensando che stesse per dire qualcosa, ma Jake non parlò.

    La tensione tra loro aumentò. Una brezza improvvisa le scostò i capelli dal volto. Un autoarticolato vicino si mise in moto rombando, ma non le fece distogliere l’attenzione da Jake, e neanche il rumore delle portiere che sbattevano e i saluti ad alta voce dei camionisti che uscivano dalla tavola calda, diretti chissà dove. Molly non si lasciò distrarre. Sarebbe stato facile lasciar passare quel momento, o fingere che non fosse importante. Avrebbe potuto allontanarsi, risalire in macchina. Partire. Andare via.

    Ma non voleva.

    Non aveva mai fatto niente del genere. E questo era importante. Così com’era importante che volesse farlo.

    Per tutta la vita si era comportata bene, aveva preso le decisioni più giuste, aveva fatto la brava ragazza. E ci aveva guadagnato un lavoro senza prospettive e una vita altrettanto priva di prospettive… fino a quel momento.

    Se fosse stato un film, lui l’avrebbe presa tra le braccia e l’avrebbe bloccata contro la macchina. Le avrebbe dato un bacio appassionato, infilandole la lingua tra le labbra per divorarle la bocca mentre l’accarezzava tutta.

    Al pensiero delle mani di Jake sul suo corpo, Molly sentì che le s’inturgidivano i capezzoli e le pulsava un punto tra le gambe, dove la cucitura dei jeans le strofina-va la carne con lenta precisione.

    Ma non era un film, e Jake non si mosse.

    Perciò fu Molly a fare il primo passo.



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    Capitolo 8






    Se Jake avesse opposto resistenza lei non avrebbe avuto la forza di prendere l’iniziativa. Ma lui non la respinse quando gli mise le mani sul giubbotto, né quando incollò la bocca alla sua. Invece sciolse le braccia incrociate e allargò le gambe. Per essere più stabile, pensò Molly, prima che le fosse impossibile ragionare perché lui ricambiò il bacio.

    In effetti aveva un sapore di torta, e anche un gusto virile, sensuale. Aprì la bocca e Molly non perse tempo. Intrecciò la lingua alla sua e si staccò giusto il tempo necessario per riprendere fiato prima di baciarlo ancora.

    La prese tra le braccia, mettendole una mano tra le scapole e l’altra sulle natiche, mentre lei fece scorrere le dita lungo le maniche del giubbotto di pelle, facendole risalire verso il collo, poi le intrecciò dietro la nuca per fargli chinare la testa in modo da non doversi alzare in punta di piedi. Le fibbie delle cinture sbatterono tra loro.

    Jake camminava come se fosse il padrone del mondo, e baciava allo stesso modo, almeno finché non sentirono il fischio di un camionista, e l’ululato derisorio di un altro, e Jake s’irrigidì, poi smise di baciarla.

    Molly avvertì la tensione improvvisa dei suoi muscoli e il sibilo del suo respiro sul volto. Jake esitò e si staccò per guardarla in faccia per un istante, poi spostò gli occhi verso il parcheggio alle loro spalle. Quando tornò a fissarla, aveva corrugato leggermente la fronte.

    «Molly…»

    Lei lo scrutò. «Jake.»

    Lui le mosse le mani sulla schiena, irrequieto, ma non la respinse. Non proprio.

    Molly vide due camion che uscivano dal parcheggio. Erano momentaneamente soli. Vedeva le persone che mangiavano e parlavano nella tavola calda, e le macchine che sfrecciavano sulla strada. Più in lontananza, i lampi dei fari sull’autostrada.

    Jake aveva parcheggiato in fondo al piazzale, lontano dalla maggior parte delle altre vetture. Diversi autoarticolati, che Molly aveva visto arrivando, ora erano andati via. La luce dei lampioni disegnava cerchi arancioni sull’asfalto e le finestre della tavola calda illuminavano il parcheggio con quadrati dorati striati di ombre. Però nel punto in cui erano loro era quasi completamente buio.

    Non li avrebbe visti nessuno.

    «Sali in macchina» mormorò Molly con le labbra sulle sue.

    Per un istante fu sicura che lui avrebbe scosso la testa e l’avrebbe rifiutata. Non era un film, dopotutto. Lo sentì contrarre le dita sulla sua schiena, ma poi Jake aprì la portiera con un cigolio che le provocò brividi di piacere lungo la spina dorsale. Come il rombo del motore di quell’auto, quel cigolio evocava il sesso.

    Molly spinse in avanti il sedile e salì su quello posteriore della Impala, grande come alcuni dei letti in cui aveva dormito. Scivolò sul vinile color panna fino a urtare l’altro sportello con la schiena. Il vetro era freddo e la manovella del finestrino le urtava la schiena, ma non si mosse. Con il fiato sospeso e il cuore in gola, attese che Jake la raggiungesse.

    Però lui non salì subito in macchina. Non lo vedeva in faccia, ma il corpo inquadrato dalla portiera aperta le fece leccare le labbra. Jake spostò il peso su un fianco per un istante. Batté leggermente sul tettuccio.

    Poi, finalmente, salì in macchina.



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    Capitolo 9



    Jake chiuse la portiera ma rimase seduto immobile per un minuto, guardando avanti. Molly non si avvicinò. Il loro respiro, l’unico suono nell’abitacolo, cominciava ad appannare i vetri.

    Finalmente Jake la guardò. «Sono anni che non mi trovo sul sedile posteriore della macchina insieme a una donna.»

    Molly rise. «Neppure io.»

    Jake si passò le mani sulle cosce, sfregando i jeans, poi si girò leggermente verso di lei. «Allora che facciamo qui, esattamente?»

    C’erano tante risposte possibili, ma dalla bocca di Molly ne uscì istintivamente una, che non era sicuramente dettata dal buonsenso né dal decoro.

    «Ora ti faccio vedere.»

    Due secondi dopo si era avvicinata a lui, e un altro secondo dopo gli aveva preso il viso tra le mani. Sentì sotto i palmi che Jake irrigidiva le mandibole, e le graffiava appena la pelle con la barba corta. Non poté fare a meno di chiedersi che cos’avrebbe provato se l’avesse sentita sul ventre. Sulle cosce…

    Le sfuggì un mugolio sommesso dalle labbra. Batté rapidamente le palpebre, ed ebbe un improvviso capogiro, ma Jake la sorresse. Poteva cedere, pensò, ma non sarebbe caduta.

    Dopo un altro secondo ancora si accorse di una cosa che la stupì. «Ma tu…?»

    «Tremo? Sì.» Jake chinò il viso che Molly teneva ancora tra le mani. «Non è una montatura, vero?»

    «Vuoi dire con una telecamera nascosta, o cose del genere?» Molly gli sollevò il viso per farsi guardare negli occhi, poi lasciò la presa per permettergli di scostarsi se avesse voluto. «No, Jake, siamo solo io e te» dichiarò, scuotendo la testa.

    Jake inspirò a fatica. Chiuse gli occhi per un istante, ma non si ritrasse. «Cose così… non succedono veramente.»

    «A quanto pare sì.»

    «A me no» rise lui, tenero nel suo imbarazzo.

    Molly si avvicinò ancora di più, bilanciando il peso su una gamba per poi potersi mettere a cavalcioni sopra Jake. «Fai molti viaggi in macchina?»

    «No.» Sospirò quando lei gli si piazzò sopra.

    Molly affondò le ginocchia sul sedile e lui le mise subito le mani sulle natiche per premerle addosso il pube. Molly gli tuffò il viso nella curva tra collo e spalla e i suoi denti trovarono la pelle, per mordicchiarla leggermente. Subito sentì l’erezione che cresceva sotto di lei. Il clitoride sfregava senza tregua contro le mutandine. Stava andando tutto troppo in fretta, ma allo stesso tempo voleva andare subito al sodo.

    Avrebbe dovuto sentirsi a disagio, ma le sembrava la cosa più giusta che avesse mai fatto.

    «Per me è il primo viaggio in macchina» gli bisbigliò all’orecchio prima di prendere il lobo tra le labbra e succhiarlo.

    Jake emise un gemito e le fece scorrere le mani lungo la schiena. Molly gli fece sollevare la testa spingendola verso l’alto con il mento, per arrivare alla gola. Mmh, aveva un buon sapore anche lì. E un buon profumo. Jake sussultò quando lo morse.

    «Scusa» mormorò, sorridendo, poi leccò il punto in cui aveva affondato i denti.

    Jake le afferrò i capelli alla nuca. Non li tirò forte, ma Molly si lasciò scostare per poterlo baciare di nuovo sulla bocca.

    E lui la baciò, con ardore famelico.

    Poi le infilò le mani sotto l’orlo della maglietta per accarezzarle la pelle. Molly emise un gemito gutturale contro la sua bocca aperta. Jake intrecciò la lingua alla sua e spostò le mani verso l’alto. Molly protese i seni, smaniosa di sentire il suo tocco lì, sui capezzoli, che erano già turgidi e frementi.

    Improvvisamente si trovò supina, a scivolare sul sedile di finta pelle. Jake si abbassò su di lei, pesandole tra le gambe, premendosi contro di lei. Molly gli tirò fuori la maglietta dalla cintura e passò le mani sul suo addome caldo. Jake le sfiorò la mandibola con la bocca, che poi fece scivolare verso il collo mentre lei lo incoraggiava con un sussurro appena udibile.

    «Sì…»

    Fu in quel momento che qualcuno bussò al finestrino.


    continua...

     
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    Capitolo 10



    Il finestrino fu investito da un raggio di luce e una torcia batté sul vetro. Jake si ritrasse, facendo scudo a Molly con il suo corpo mentre si stendeva ad abbassare il finestrino.

    «Tutto bene, signora?» L’agente chinò la testa per sbirciare all’interno.

    «Benissimo» rispose Molly, rendendosi conto improvvisamente che i finestrini erano appannati. Jake faceva il possibile per coprirla mentre il poliziotto illuminava l’abitacolo con la torcia. Molly infilò alla svelta la maglietta nei jeans, controllando che non ci fosse nient’altro fuori posto. Aveva l’impulso assurdo di ridacchiare come una ragazzina.

    «Scenda dalla vettura, prego.»

    «Come?» Molly alzò lo sguardo, stupita, ma Jake aveva già spinto in avanti il sedile anteriore per aprire la portiera. «Jake, aspetta. Chiedigli di farti vedere il distintivo.»

    L’agente emise uno sbuffo sarcastico e illuminò con la torcia il distintivo appuntato sul petto, poi spostò il raggio di luce verso l’autopattuglia bianca e nera che Molly avrebbe notato prima se non fosse stata ottenebrata dall’eccitazione.

    «Scenda, per favore» insistette.

    Jake la guardò con un sorriso divertito e scese dall’auto.

    «Anche lei, signora.»

    Non l’aveva neppure chiamata signorina, facendole capire che sapeva quanto lei che era troppo vecchia per farsi sorprendere a limonare sul sedile posteriore di un’automobile.

    Molly scese e si fermò accanto a Jake, che non era ostile né sulla difensiva, ma non sembrava neppure vergognarsi.

    L’agente li illuminò in faccia. Molly fece una smorfia, abbagliata dalla luce, ma si morse il labbro per trattenere una risatina, arrossendo. Lei e Jake erano spalla contro spalla, fianco contro fianco, ma lei non osava guardarlo per non perdere quel poco di compostezza che le era rimasta.

    «Questo è un parcheggio pubblico» disse il poliziotto, mettendo via la torcia prima di poggiare le mani sui fianchi. Sembrava più giovane di Molly, ma lei si sentiva ugualmente una ragazzina ribelle. «Vi consiglio di andare via e trovare un motel.»

    Fece un cenno di saluto, poi si girò e tornò verso l’auto. Quando si fu allontanato, Molly emise un sospiro di sollievo e si accasciò contro la fiancata della Impala, poi scoppiò a ridere. Jake la guardò con un sorrisetto divertito.

    «Eri pronta a stare in macchina con me, ma non ti fidavi di un poliziotto?»

    Molly smise di ridere e si appoggiò meglio all’auto, vicina a lui. «Poteva essere un serial killer.»

    «Anch’io, Molly.»

    Lei gli lanciò un’occhiata. «A meno che tu non voglia uccidermi con il tuo fascino sexy, ne dubito.»

    Jake rise e chinò la testa, passandosi una mano fra i capelli. «Sei veramente un fenomeno.»

    Quel commento la fece tornare seria. Molly si raddrizzò. Prima non aveva notato l’aria fredda della notte, ma ora fu scossa da un brivido. Si umettò le labbra e sentì il suo sapore sulla bocca.

    «Sì, è possibile.» Gli diede dei colpetti sul braccio, spinse indietro le spalle e fece un respiro profondo, poi gli sorrise. «Be’… E ora?»

    Jake si passò nuovamente la mano tra i capelli, scompigliandoli, poi alzò lo sguardo verso il cielo scuro. Lo spostò verso l’autostrada. La tavola calda. La sua auto.

    Guardava tutto tranne lei. Non le serviva vedere le sue guance tinte di rosa per accorgersi che era arrossito. Fece scorrere la mano all’indietro fino alla nuca, e alla fine azzardò un’occhiata verso di lei.

    «Quell’agente ha smontato l’atmosfera, eh?»

    Per lei no, ma Molly annuì.

    Jake le rivolse un sorriso stentato. «Ti accompagno alla macchina, okay?»

    Le franò la testa sotto i piedi. La respingeva? Ahi. Non era sicura di averlo visto arrossire prima, ma lei era certissima di essere paonazza.

    «No, non fa niente» rispose. «Vado da sola. Ci vediamo, Jake.»

    Si girò e se ne andò.



    continua....

     
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    Capitolo 11


    Molly era sicura che lui non l’avrebbe seguita. Quando invece Jake le andò dietro, non sapeva se esserne sollevata o irritata. La raggiunse quando era arrivata alla sua auto. Aveva parcheggiato sotto un lampione e la luce arancione che lo illuminava metteva in evidenza i suoi lineamenti ma gli ombreggiava gli occhi. Le chiavi le premevano contro il palmo improvvisamente sudato. Molly inclinò la testa per guardarlo.

    Jake si ficcò le mani nelle tasche del giubbotto. Aveva ancora la maglietta fuori dai pantaloni e Molly avvertì un fremito ai polpastrelli al ricordo della sua pelle sotto le dita.

    Emise un lungo respiro sommesso. «Non dire niente, okay?» lo apostrofò.

    Lui la chiamò per nome ugualmente, con voce bassa e dolce come sciroppo caldo. Peccato che rovinò tutto aggiungendo: «Scusa».

    Scusa. Molly non voleva che fosse venuto da lei perché era dispiaciuto.

    Alzò una mano e si sforzò di sorridere. «No, Jake. Dico sul serio.»

    Non rovinare tutto, avrebbe voluto dirgli. Non farmi sentire sciocca per avere colto l’occasione.

    Lui assunse un’espressione indecifrabile. Se avesse potuto vedergli gli occhi avrebbe tentato d’indovinarla. Invece gli voltò le spalle.

    Il tempo si allungò vischioso come una caramella mou, ma non altrettanto dolce. Molly attese di sentire la sua mano sulla spalla, ma Jake non la toccò e lei non ebbe la forza di guardarlo di nuovo. Prima non si era sentita in imbarazzo con lui, e non voleva vergognarsi ora.

    E che cosa c’era da dire? Da fare? Aveva azzardato, e fallito. Non era la prima volta e non sarebbe stata l’ultima. E non c’era niente di male. Era deludente e un tantino mortificante, ma andava bene così.

    Però era diverso da prima, quando le possibilità si estendevano davanti a lei, infinite come l’autostrada. Ora avvertiva il peso del suo sguardo, anche se si rifiutava di girarsi. Nessuna delle sue fantasie aveva avuto quella fine. La vita reale si era intromessa. E avrebbe dovuto accettare anche quello.

    «Buon viaggio» gli disse.

    Senza attendere una risposta, Molly salì in macchina. Mise in moto, mentre lui era fermo davanti alla portiera e la guardava attraverso il finestrino.

    «Anche tu» disse Jake.

    Fece un passo indietro e lei partì. Molly non voleva guardare lo specchietto retrovisore e vederlo mentre si allontanava. Perciò non lo fece.
     
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    Capitolo 12

    A un certo punto lungo la strada aveva cominciato a piovere. Quell’acquazzone fastidioso e incessante che faceva venire voglia di tagliarsi le vene. Il buio aveva peggiorato la situazione; i tergicristalli erano al massimo ma la visuale della strada si offuscava di nuovo a ogni passata.

    Alla fin Molly si arrese. Per quella sera non poteva più proseguire, anche a costo di essere in ritardo rispetto alla tabella di marcia che si era imposta. Non era esausta, ma stanca sì. Tra la pioggia scorse appena il cartello che indicava la destinazione della sua sosta. Bedford, Città dei Motel.

    Era passata per città che avevano meno attrattive di cui vantarsi. Non perse tempo a fare raffronti, e si fermò davanti al primo motel che incontrò. Era un motel vecchio stampo, non uno di quelle nuove catene che offrivano WiFi gratuito e a colazione muffin che sapevano di cartone, ma era del genere che faceva la felicità dei serial killer.

    «Cazzo.» Quella parola parve particolarmente dura con la pioggia che batteva sul tettuccio dell’auto. Sarebbe stata fortunata se non fosse stata assassinata nel sonno.

    Prese la borsetta e il borsone dal sedile posteriore e corse verso l’ufficio del motel, coprendosi la testa alla buona con una vecchia cartina stradale. Fu inutile, perché quando entrò era bagnata fradicia. Per fortuna, l’impiegato la tranquillizzò; non sembrava un tipo che voleva emulare Norman Bates. Le porse la chiave di una stanza in fondo e le indicò la direzione del distributore automatico e di quello del ghiaccio, poi si girò con scarso interesse verso il reality che stava guardando alla TV a basso volume.

    La stanza la sorprese piacevolmente. L’arredamento era vecchiotto, ma almeno era tutto pulito. Un letto a una piazza e mezza occupava la maggior parte dello spazio, ma il televisore era nuovo e la camera non aveva un odore troppo sgradevole.

    Il letto la chiamava, ma prima Molly voleva fare una doccia. Quando fosse stata sotto il getto d’acqua non avrebbe potuto ignorare quello che era accaduto, ma non importava. Avrebbe versato qualche lacrima. La giornata era andata così. Cavoli, tutta la settimana era andata così… tutto il mese, l’anno, a dire il vero.

    Non era una donna respinta, né un’amante piantata. Era stata lei a lasciare Peter, un uomo che qualsiasi donna sarebbe stata felice di avere. Mentre si piazzava sotto il getto potente dell’acqua meravigliosamente calda, pensò che il problema fosse che non era stata disposta a rinunciare a niente per avere Peter.

    Le lacrime che si aspettava di versare non arrivarono. Forse era veramente una stronza senza cuore, come l’aveva accusata Peter.

    A occhi chiusi, si protese sotto il getto d’acqua, sperando che facesse scorrere via tutti i dubbi. Aveva commesso un errore? Si era rovinata la vita? Aveva buttato via tutto quello che contava per cercare di soddisfare un desiderio tanto vago e indistinto da non potergli dare un nome?

    No, non poteva pensare alla sua decisione da quel punto di vista, e ignorare i motivi per cui era stata costretta ad andarsene. Ogni giorno con Peter aveva perso un po’ di sé stessa. Ogni notte in cui aveva dormito al suo fianco sul letto che lui aveva scelto, tra le lenzuola che lui preferiva, nella casa che lui aveva comprato, Molly aveva sognato persone e posti che non aveva mai visto.

    Però aveva represso quelle insoddisfazioni; erano fantasie che tutti avevano, ma non concretizzavano. Però quei sogni avevano smesso di essere ridicoli l’ultimo giorno in cui aveva provato l’abito da sposa. Non le stava bene, per quanto la sarta si affannasse a sistemarlo, appuntandolo e facendo orli. Le maniche erano strette e il pizzo alla gola la soffocava.

    Ma, soprattutto, Molly non aveva riconosciuto la donna che vedeva allo specchio. Non sorrideva, e i solchi ai lati della bocca erano profondi, con una piega amara. Era una donna che non sorrideva da tantissimo tempo. E lei la detestava.

    Perciò si era tolta il vestito, l’aveva dato alla sarta ed era tornata a casa. Aveva fatto i bagagli, raccogliendo le poche cose che aveva portato a casa di Peter, e gli aveva detto che lo lasciava.

    Non era stato bello.

    A ripensarci ora, Molly avrebbe voluto pentirsi di averlo ferito. Era stato buono con lei, nei limiti di quello che era. Non era colpa sua se qualsiasi cosa Peter facesse non era mai abbastanza per lei.

    «Pretendi che ti legga nel pensiero!» l’aveva accusata Peter, mentre lei si dirigeva verso la porta. «Ti aspetti che sappia quello che vuoi!»

    Sentendo quel commento, Molly si era bloccata sulla soglia, urtando lo stipite con la valigia mentre si girava. «No, Peter» aveva obiettato con tutta la gentilezza possibile. «Non pretendo che tu mi legga nella mente, ma che tu mi conosca.»

    Peter non aveva potuto replicare a quello, ma Molly non si aspettava una risposta. Come poteva conoscerla, se neppure lei conosceva sé stessa?

    Però ora ne aveva la possibilità, un’occasione di creare la persona che voleva essere.

    Anche una che appannava i finestrini della Impala di uno sconosciuto sexy.

    Mentre era sotto la doccia, sentiva ancora la pelle ipersensibile sotto le dita, e i capezzoli s’inturgidirono mentre passava sui seni le mani scivolose per il sapone. Ricordava sin troppo bene quanto erano caldi i palmi di Sam sul suo ventre, e come si era protesa verso di lui, per incalzarlo a muoverle sul suo corpo. Avrebbe fatto sesso con lui sul sedile della Impala, anche dopo l’interruzione del poliziotto, ma lui se n’era andato. Ma quale razza di uomo l’avrebbe mai fatto?

    Uno intelligente, pensò, accigliandosi.

    Uscita dalla doccia, si avvolse in un asciugamano e si ripromise di mangiare una barretta al cioccolato e una bibita dal distributore, a di guardare un film con la pay per view prima di andare a dormire. Aveva appena premuto il pulsante del telecomando per accendere il televisore quando sentì bussare alla porta.

    Non era una sprovveduta, perciò prima guardò dallo spioncino. Pioveva ancora, e le luci del motel gettavano strane ombre fuori. La persona davanti alla porta si era messa di lato perciò Molly poteva scorgere solo una spalla, però non aveva bisogno di vedere altro, perché il parcheggio era ben visibile.

    E poteva vedere l’automobile.
     
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    Capitolo 13



    Per poco Molly non rispose. Ma quando sentì un altro colpetto sommesso alla porta, mentre aveva l’occhio premuto contro lo spioncino, indietreggiò, tolse il fermo e socchiuse la porta.

    Jake, con i capelli bagnati e l’acqua che gli scendeva sul mento, si girò verso di lei. «Molly?»

    Rendendosi conto di essere avvolta in un asciugamano e basta, e di non essere più truccata, Molly annuì. Non aprì di più alla porta. E non disse niente.

    Jake stese le mani per un secondo poi le infilò in tasca. «Non ti sto perseguitando.»

    Lei sollevò un sopracciglio. «Sicuro?»

    Il suo sorriso sghembo avrebbe dovuto essere solo un ghigno ironico di nessuna importanza, ma le fece venire voglia di spalancare la porta, buttare via l’asciugamano e saltargli addosso. Jake incurvò le spalle, investito da una folata di vento e pioggia.

    «Sono un cretino.»

    Quel commento la sorprese. «Ah, sì?»

    «Non avrei dovuto farti andare via. Non avrei dovuto… Cavoli. Posso entrare?»

    Lei strinse la maniglia, ma non tirò la porta verso di lei. «Non so se è una buona idea.»

    Si fissarono a lungo. A Molly batteva forte il cuore. Un’altra folata di aria fredda e carica di pioggia li colpì. Molly rabbrividì anche se in quel momento sentiva tanto caldo che neppure il gelo polare avrebbe potuto raffreddarla.

    «Sei sicuro di voler entrare?» Quelle parole le uscirono di bocca cupe e gravi, non con il tono civettuolo e provocante che avrebbe voluto adottare.

    Perché quella situazione sembrava molto più importante e seria di quando si mangiavano con gli occhi sorpassandosi a vicenda. Molly trattenne il fiato, in attesa. Jake annuì, muto.

    Molly spalancò la porta e si scostò per farlo entrare. Lui la chiuse con un calcio senza neanche guardarla, con gli occhi fissi su di lei. E poi, oh, sì, sì!, avanzò spingendola verso il letto un passo dopo l’altro, tenendola tra le braccia, con la bocca che divorava la sua.




    Continua...
     
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    Capitolo 14



    Quando ricaddero sul letto gli aveva sfilato il giubbotto dalle spalle. Appena toccò terra, Molly cominciò a tirargli la maglietta verso l’alto. Miracolosamente, l’asciugamano si era solo spostato leggermente, ma niente più.

    Jake si sfilò la maglietta e la buttò sul pavimento. Subito Molly portò le mani alla fibbia della cintura, che però oppose resistenza, e dovette strattonarla tanto forte da scuotere il corpo di Jake. Lui mise le mani sulle sue per aiutarla, e poco dopo si abbassò i jeans.

    Molly aveva già piegato il copriletto ai piedi del letto, perciò quando si distese sentì le lenzuola lisce sotto la pelle. L’asciugamano si era aperto ma non sciolto, e lei lo tenne chiuso con una mano mentre si tirava su, sorreggendosi su un gomito per guardare Jake che si spogliava. Era uno spettacolo decisamente interessante. Prima gli stivaletti, poi i jeans finirono tra gli indumenti ammucchiati alla rinfusa. Infilò i pollici ai lati dei boxer neri, ma esitò. Invece di sfilarli, salì sul letto e si mise sopra di lei.

    I capelli bagnati di Molly si sparsero sul cuscino intorno alla testa quando lui la spinse giù, baciandola. Lasciò la presa sull’asciugamano e lo attirò a sé. Il contatto di pelle contro pelle, ancora umida dopo la doccia, fu inebriante.

    Jake si sorreggeva sopra di lei, puntellandosi ai lati del suo corpo. Aprì la bocca quando Molly socchiuse le labbra, premendole sulle sue. Le lingue s’intrecciarono. I denti sbatterono insieme. Jake si staccò per guardarla negli occhi, ma solo per un istante, poi chinò la testa per graffiarle il collo con i denti, e la pelle sensibile dell’incavo della spalla. La lingua seguì lo stesso percorso, provocandole un brivido estatico.

    Insinuò una mano sotto i lombi di Molly e la sollevò appena per sfilare l’asciugamano che cadde sul pavimento con un tonfo sommesso. Molly gli passò le dita tra i capelli e sentì le goccioline di pioggia sui polpastrelli, sorpresa perché non sfrigolarono al contatto con l’acqua, per quanto aveva la pelle surriscaldata.

    Un lampo squarciò il cielo, visibile attraverso le tende leggere, poi si udì il rombo di un tuono. Le luci tremolarono e si spensero, mentre la pioggia martellava il vetro. Jake e Molly s’irrigidirono. Fuori i lampioni del parcheggio si riaccesero, ma la stanza rimase immersa nell’oscurità.

    Jake si alzò a sedere. Molly poteva intravedere la sua sagoma, e distinguere i lineamenti e i contorni del suo corpo, anche se era ancora buio. Sentì il peso della sua mano sul fianco. Avevano entrambi il respiro affannoso, forte nel silenzio della stanza.

    Un altro lampo gli illuminò il volto, ma il tuono le impedì di sentire le parole che stava formando la sua bocca.

    «Shh» disse Molly quando il tuono fu passato. «Non dire niente.»

    E stavolta lui rimase zitto.



    Continua.....
     
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